La Prima Pizzata

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CHATTER.802
Msg : 463 di 500 – 459 + 495 Rcv Da : Massimo Balestrieri 2:332/802.8 Ven 28 Ott 94 08:08
A : Davide Bolsi Mar 01 Nov 94 11:47
Sogg : Re: Commenti a freddo pizzata, parte II
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Ciao Davide! 18 Ottobre 1994, Martedi, Davide Bolsi scrive a Massimo Balestrieri:
DB>>>> Beh, perche’, le altre pizzate com’erano ‘strutturate’ ?
DO>>> Beh, dipende, la peggiore prevedeva visita all’Arcidiavolo…
DB>>> Quindi tutta la sera a parlare ad un tavolo ?
DO>> Prendi per il c%lo? πŸ™‚
DO>> E’ impossibile parlare all’Arcidiavolo (o, per meglio dire, si puo’ parlare ma e’ impossibile essere ascoltati πŸ™‚ ).
DB>>> Mi narri… πŸ˜‰
DO>> Sarebbe meglio di no, ne ho dei tremendi ricordi… πŸ™‚ Chiedi a Max.
DB> Mi narri…

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VIRTUAL LINK

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(collegamento virtuale)

by
William Cookson
traduzione di Francesco Cotti

Il fetore di escrementi vomitati dalle bocchette fognarie, ormai vecchie di un secolo, inondava l’aria come un misterioso ferormone maschile d’amore. La pioggia non faceva che amplificare l’odore erodendo dai marciapiedi rifiuti organici di ogni sorta; la visibilita’ non era superiore ai trenta metri, un po’ per le goccie, un po’ per la nebbiolina ad altezza d’uomo, un po’ per la marea di cadaveri ambulanti di cittadini che rincorrevano le proprie disgrazie con volti indifferentemente disperati.
In mezzo a questo caos c’ero io. Avevo ricevuto il data-express in mattinata, cosa strana, quasi come il suo codice d’avvio, che sembrava preso pari pari da un vecchio deck italo-cinese di qualche anno fa… Il D-EX era stato esplicito: O mi presentavo entro le 18.00 da Caesar Wolvves, oppure potevo essere considerato un’ammasso di proteine nobili e acqua. Morto. Non ci ho pensato sopra due volte, ho preso il mio pastrano in similpelle polivinilica nero: un gran bel pezzo di vestiario, teneva pure le pioggie acide della Sardegna… L’avevo preso come pegno di gioco da un trafficante di armi cileno, che per sbaglio aveva barato ad una mano di briscola-telepatica. Prima o poi dovro’ rattorpare il buco del proiettile da 15mm che gli ho fatto sulla schiena… Non ho nemmeno dimenticato il cappello, dello stesso colore e dello stesso materiale, questo l’ho comprato: mi e’ costato mezzo carico di droga sintetica, cazzo! Ma e’ bello. Molto bello. Sapevano tutti in citta’, e fuori citta’, dove trovare Caesar. Chi ci andava aveva solo due motivi: Ho aveva bisogno del lavoro di Caesar, oppure, Caesar non aveva piu’ bisogno di farlo lavorare… Trafficava di tutto, questo Caesar: dagli innesti modem da orecchio (tipo quelli che usavano i militari), alle memorie ottiche per orologi a sincronia satellitare, cloni Seiko ad alto costo. Ultimamente si era messo pure a vendere droghe dimagranti ad un’altro boss della citta’: Graceanus Sylva. Poi qualcosa dev’essere andato storto; si mormora che la droga faceva l’effetto contrario: in 48 ore Graceanus mise su’ 14 Kg… Di grasso e di rabbia… Pare che abbia combattuto una guerra privata utilizzando i polizziotti corrotti come soldati. Un macello. Potevi benissimo vedere delle pattuglia della polizia mitragliare con dei confetti da 90 altre pattuglie, dello stesso distretto. Il problema era che lo facevano sempre vicino ad asili, scuole, ospedali, e magari qualche testata neurale confondeva la sagoma di un poliziotto con quella di un gruppo di bambini… Che casino in tre mesi! Ed io stavo andando da un simile tizio. Sapevo che ero morto in ogni caso. Non presi nessun tipo di trasporto, volevo andare a piedi, volevo vedere la citta’ nelle sue sfumature di grigio marmo scuro, e nero pece. Volevo vedere le piante agonizzanti, ormai soffocate da spore parassite mutanti che crescevano impunenmente sui tronchi come ragni di rami azzurrognoli dalle troppe lunghe zampe. Nessun dipendente del governo era stato in grado di poterli via, se questo termine si poteva applicare, senza perdere la vista od un’altro senso, a causa delle neurotossine che i rami sprizzavano. Qualche decennio fa dicevano che la vita in citta’, quella animale intendo, sarebbe sparita a causa dell’inquinamento. L’unica vita che e’ sparita e’ quella della gente. La natura si e’ adattata. Una volta ho visto in rete l’immagine di un piccione, che era un dominatore incotrastato dei cieli delle citta’, credo. Ora c’e’ qualcosa di, simili si’, ma senza piu’ gli occhi e con le piume verde smeraldo, che mangia le gomme delle auto e urla nelle grondaie… Muoiono soltanto se vengono maciullati. I topi, bestie pelose grosse come squali dei pozzi petroliferi, facevano piu’ vittime degli incidenti stradali normali. Nel senso che li provocavano loro, grossi e robusti com’erano. Stavo percorrendo la Emily’s way, un’enorme ed antica strada che tagliava in due la metropoli e perennemente sollecitata da camion per il trasporto di rifiuti urbani. Arrivai davanti al covo di Caesar. La sua copertutra era perfetta: un negozio di nanoelettronica con esposto in vetrina il cartello: X LA POLIZIA: VENDO QUELLO CHE VENDO. FATEVI I CAZZI VOSTRI, LE VOSTRE INFORMAZIONI SONO SBAGLIATE. X I CLIENTI: LA DROGA SINTETICA ARRIVA SOLO IL MARTEDI’.
Soppesai il cartello con un ghigno e mi presentai alla porta. Il sensore all’infrarosso all’arseniuro di gallio impiego’ sette centesimi di secondo per riconoscere il mio calore ed ad inviare il segnale ad un’attuatore elettrico che fece girare un cogegno che alimento’ un sintetizzatore vocale a 128 bit che proferi’ queste parole, con un’accento spiccatamente malese: “SPINGERE”.
Con un colpo del palmo della mano aprii la porta in blindovetro anti-radiazioni. Mi ritrovai in un stretto corridoio che conduceva ad una rampa di scale; alla mia destra una vetrinetta in vetro bielo-russo conservava piccoli orgogli di Caesar che amava collezionare e mostrare. I miei occhi scorsero l’archelogia dell’informatica: Uno scatolotto con scritto sopra “Vterbo32Bis”, probabilmente, dalle dimensioni, doveva essere una primitiva memoria ottica ad effetto tunnel; un biglietto colorato di carta che recava, orgoglisamente, “up-grade a Pentium, quando volete.” E chi era interessato a farsi up-gradare con un minerale radioattivo? Cavi.
Cavi vecchi di un secolo. Una volta ci facevano passare i bit li’ dentro. Rimasi affascinato, avrei voluto passare il pomeriggio a rimirare quelle chicche preistoriche. Intrapresi le scale. Sporche. Sporche di sangue, di polvere e di chissa’ cos’altro.
Dietro le scale, tra un gradino e l’altro poteva osservare gli imballaggi impolverati di strani parallepipedi con una faccia di colore diverso. Monitor. Mi annotai mentalemte che, se sarei sopravvissuto, avrei chiesto a Caesar di illuminarmi su certe rarita’ del passato. Alla terza rampa alzai lo sguardo. Due tirapiedi di Caesar mi aspettavano con le braccia incrociate, entrambi bassi, ma uno era tarchiato con i capelli neri e l’altro invece era magrissimo e biondiccio. Quello magro passo’ due dita sull’interfaccia optronica che aveva sull’occhio destro; un raggio azzurro mi sventaglio’ in un’attimo da capo a piedi. “Dammi il tuo 15mm” disse con un’accento irriconoscibile. Inutile tentare di resistere, il suo sensore aveva individuato la mia fedele pistola Subaru-Colt da 15mm. Senza una parola gliela lanciai. Il tipo tarchiato la prese al e, in unico gesto, estrasse il caricatore per contare i colpi e se la mise in tasca. Mi passo’ ancora con il raggio, quindi mi fece cenno di seguirlo. Terminai le scale mi ritrovai in un complesso multipiani, appastanza scuro, e piuttosto inospitale. I due mi condussero attraverso un labirinto di pannelli divisori, una volta bianchi, ora iscuriti di depositi di particelle ferrose emesse dagli innumerevoli scambiatori di calore. Arrivammo di fronte ad una porta. SAT. C’era scritto SAT, sopra; la “T” era quasi stata cancellata da una bolla di vernice bruciata: quella porta aveva resistito all’impatto di un proiettile incendiario, anni prima.
I due parlano tra di loro, in una lingua che risuonava alle mie orecchie musicalmente primitiva e minacciosa; piu’ o meno proferirono questi suoni: “Co’ fema ed cost chi’?” mormoro’ il tarchiato.
“Le’ chi’… Al fema entrer, no?” rispose il biondino, che mi teneva sottocchio.
“Al dig a Cesare…” Cesare… La storpiazione di Caesar.
Forse non si aspettavano che arrivassi cosi’ presto… Il tarchiato entro’ dentro alla stanza, socchiudendo la porta giusto per far entrare il suo corpo ingobro di corazze reattive, evitando di farmi sbirciare all’interno. Il biondo incrocio’ di nuovo le braccia, con espressione neutra. Scostai l’impermeabile per tirarmi fuori una pastiglia di Erbhozol, tanto da rinfrescarmi l’alito, e il biondino scatto’ come una lucertola mutata del parco della citta’.
Estrasse un fasato-plasma con caricatore da 23 scariche: questa gente non badava a spese per armarsi. “Calma, e’ una pasticca…”
Misi ben in vista il confetto nero ottagonale. Il tipo la passo’ al raggio e grugni’ qualcosa. La inghiotii. Le sostanze organolettiche del mentolo tanzanico si fusero con il ph neutro della mia saliva formando sulla lingua una schiuma rosa che fece trasalire le papille gustative con una sensazione esplosiva, come se qualcuno piantasse di colpo una lama spessa e fredda all’incrocio alla base della diramazione encefalica. Questa sensazione mi aiutava a calmarmi. La porta si apri’ improvvisamente: il tarchiato mi indico’ scorbuticamente, poi spalanco’ del tutto la porta. M’incamminai dentro, mentre il biondino mi passo’ al raggio ancora un’ultima volta. La stanza era piccola: un tavolo a L contro il muro e due computer modello Microminus MK3, da 16 tetabyte. Seduto su di una scomoda sedia c’era lui: Caesar.
Nessuno aveva provato mai a dargli un’eta’, i numerosi interventi di chirurgia avevano trasformato quel volto, magari una volta giovane e cordiale, in una efficente periferica di I/O informatico. Dietro l’orecchio sinistro aveva tre jack a fibre ottiche per l’interfacciamento tetradimensionale alla Matrice, simmetricamente sull’altro lato della testa c’erano gli input per lo stereo digitale Akay e per l’olovideo. Esattamente dietro alla nuca aveva una datata presa SCART, non serviva a nulla, ma se l’era fatta installare per bellezza; sulla sommita’ del cranio, mimetizzato dai lunghi e folti capelli castani sintetici della Thompson, c’era un ricettacolo DATA-1 per database HD militari. Sotto il secondo mento appariva la console di selezione di tutti i jack presenti in testa. Tutti i dati che riceveva venivano, una volta elaborati dal cervello, scaricati dentro le memorie a reti neurali dei Microminus, attraverso le telecamere di trasmissione ottica inserite nei bulbi oculari. Appena gli dissero che ero nella stanza (non mi noto’ perche’ era in piena sessione di trasmissione dati), stacco’ un cavo polarizzato dall’ombelico. Evidentemente aveva un dispositivo di I/O pure li’… Mi squadro’ per qualche secondo con quegli occhi da camaleonte, poi finalmente parlo’: “Non vedo un cazzo! Ho gli occhi ancora collegati!?” Il tarchiato incomincio’ a toccare lo schermo del Microminus con una rapidita’ ed una precisione dei movimenti degna di un epilettico in piena crisi. “Idiota! Scollegami dal DB principale!” Il tarchiato mosse le dita ancora piu’ freneticamente, ma senza risultato…
Caesar, senza mostrare alcuna emozione apparente, estrasse una pistola a particelle circuite, l’arma piu’ silenziosa mai apparsa sul pianeta, e sparse con disinvoltura il cervello del tarchiato sulla parete. Riconobbi, in quell’istante, le macchie delle pareti all’entrata e sulle scale: quella pistola aveva lavorato MOLTO.
“Stavo scherzando… E tu non te ne eri accorto… Servo indegno!” Il cadavere del tarchaito, scosso da mille impercettibili tempeste micromuscolari, rotolo’ malamente sul pavimento spruzzando un fiotto di sangue dal collo, con il ritmo di un cuore in panico.
“Quanto schifo…” disse Caesar. Poi, infine mi digitalizzo’ con le sue telecamere. Non dissi nulla. Avevo bisogno di un’altra pasticca…
“Sei Frank Cooks?”
“Cosi’ dicono” la risposta adatta ad ogni situazione. Questo era il mio sistema per far capire il mio carattere.
“Basta che lo dicano i tuoi documenti…” Caesar infilo’ l’indice in una presa Bosch-Perugina per linkaggio con DataBase Ministeriali.
“Allora, Cooks, mi hanno detto che se vuoi riesci a piazzare un sbardagrammo di droga sintetica come quando vuoi. E’ vero?”
E io che pensavo di aver chiuso con lo spaccio. Questo tizio voleva che ritornassi nei bar e nelle piazze a chiedere alla gente se volevano accorciarsi la vita nel modo piu’ costoso ed incasinato… Avevo giurato a me stesso che avrei chiuso con il vedere la gente con gli occhi fuori dalle orbite, con le unghie verdi, con i capelli arancioni per l’intossicazione… Con i conti da fare a mente per dare indietro i resti.
“Caesar, io ho chiuso con quella vita…” Caesar non batte’ ciglio (non li aveva, per forza!).
“Ti daro’ una calcolatrice tascabile… Non preoccuparti…” Sul quel DataBase, evidentemente, c’era incisa la mia confessione che urlai alla polizia 7 mesi fa…
“Ho la miglior droga sintetica del momento: Pinzimonium. In polvere e pastiglie.” Trasalii. Pinzimonium.
Solo gli spacciatori dalto borgo avevano accesso a quel nirvana sintetico. Dicevano che ti faceva implodere il cervello di colori, suoni e di gusti… Tutti i neurotrasmettitori venivano stimolati fino alla curva Brunecker di potenziale massimo neuroelettrico. Chi la usava durava meno di una settimana… Non morivano perche’ gli bruciava il cervello, ma perche’ sorridevano cosi’ smodatamente da spaccarsi la giugulare. Brutta morte.
“Bella roba il Pinzy”
“Gia’. La faccio arrivare direttamente dal confine. Dissimulato in imballaggi per omogenizzati per bambini.”
“Bella copertutra…” dissi falsamente interessato.
“Certo. Ma ogni tanto schioppa un bambino negli asili…”
“Cosa dovrei fare?” Avevo bisogno di una Erbhozol…
“Nervosetto? Nulla di piu’ facile… Lo spaccio di Pinzimonium sara’ una scusa per contattare una persona…”
“Chi sarebbe?”
“Una ragazza. Barbara Ferrison. Una mia amica che ha una memoria virtuale della Panasonic nel cranio… Glielo riprogrammata io…”
“Roba di prima classe… Che cosa e’ ora?”
“Io gli avevo programmato dei falsi ricordi di una suora del secolo scorso…”
“Suora?”
“Donne che pregavano tutto il giorno, vestite di nero e che non vedevano mai nessuno…”
Capii che si riferiva a quelle sette religiose che infuriavano un centinaio di anni fa’…
“Allora?”
“Allora, o il DB da dove ho preso l’impianto era stato manomesso. oppure… Lasciamo perdere…”
scosse la testa frustrato.
“E’ diventata una prostituta a gratis…” concluse.
“DB manomesso, sicuramente…” risposi secco.
“Devi ritrovarla! E’ andata pure da GraceAnus Sylva! Ti rendi conto!? Per fortuna che lui e’ attirato solo da vecchi CD-ROM… Ma e’ un’offesa incredibile! Sono lo zimbello di tutto l’HUB!”
Rimase in silenzio qualche istante, poi mi guardo’ di scatto: “Hai gia’ ucciso, vero Cooks?” Indico’ la mia Subaru-Colt che era fuoriuscita dalla tasca del tarchiato.
“Si, ma solo per legittima difesa…” risposi con il tono di chi aveva trucidato un migliaio di persone; tutte in una volta.
“Ma devo incontrare la tipa, smerciare droga, o ammazzare qualcuno?”
“Tutti e tre. Smerci Pinzy, perche’ a lei piace tanto farsi di quella merda, cosi’ la incontri…”
Lo interruppi spavaldamente “… Cosi’ l’ammazzo e il tuo onore e’ salvo…”
Caesar mi scruto’ compiaciuto. “Si. Sei sveglio. Ho fatto bene a chiamare te…”
Accennai un sorriso. Senza mostrare i denti, come si usa fare nel mio quartiere.

“Prendi la tua 15mm, e questa” Mi lancio’ una scatoletta di cartone riciclato. L’aprii: era pieno di Pinzimonium puro in pastiglie arancioni. MI chinai a riprendere il mio 15mm.
“Come faccio ad uscire di qui con la mia artiglieria? Qui fuori c’e’ un tuo scagnozzo con un detector di realta’ aumentata optronico. Quello mi fredda se mi vede armato…”
“Un che?” disse sorpreso Caesar.
“Ha nell’occhio destro un’impianto di realta’ aumentata… Un raggio scanner che individua le masse metalliche, penso…”
Caesar scosse la testa: “Quello e’ un regalo che gli ho fatto io… E’ un semplice kit vecchio di 120 anni di “Nuova elettronica”, pernso. E’ un diodo laser che emette un raggio. La mia guardia del corpo e’ convinta che funzioni da scanner… Gli sono affezzionato, non so come dirglielo che e’ inerte…”
“Ma…” Evidentemente c’era qualcosa che mi sfuggiva…
“Esci di qui! Ha una settimana per ammazzare quella troia!”
“Dove la trovo?”
“Bazzica spesso per il centro… Nei bar e nei oloshop”
“Si, ma io che ci guadagno?” Non aveva ancora specificato un compenso, tipico di queste missioni.
“Ti lascio in vita.” Caesar sorrise, o almeno, ci provo’ seriamente…
Mi aveva fregato come l’ultimo dei cadetti dei vigili meccanizzati urbani. Uscii senza dire una parola, quando mi freno’ con un’esclamazione:
“Bel pastrano, Cooks” Gli sorrisi di nuovo e uscii. Fuori il biondino mi passo’ ancora con il raggio.
“Che cazzo ci fai ancora con il 15mm?” urlo’ isterico mentre si contorceva per tirare fuori la sua Glock con proiettili senza bossolo.
Con uno scatto degno dei combattimenti rionali della mia gioventu’ gli piantai il dorso del pugno sul naso, facendolo cadere a terra. Il suo “sensore” gli si stacco’ dall’occhio e si ruppe per terra. Inorridito vide il suo gioiello di hardware aprirsi come un guscio di noce e rivelare il suo interno: una batteria e un fotodiodo.Basta. Evidentemente, il biondino, era talmente convinto di avere un vero sensore optronico sull’occhio, che aveva sviluppato delle capacita’ ESP per esplorare passivamente la mente della persone da esaminare.
E’ cosi’ che sapeva che portavo una 15mm. Me ne andai giu’ dalle scale, senza fretta. L’ultima cosa che ricordai del negozio fu il pianto disperato e senza interruzioni del biondino. Tornai alla mia unita’ abitativa, al dicisettesimo piano di un’edificio di plastocemento armato.
L’ascensore si era rotto anni fa, c’era dentro un morto, e nessuno lo voleva tirare fuori. Ero contento di farmi tutte quelle scale, l’unica mia occasione di fare esercizio quotidiano, tanto per smaltire la pancetta che mi era spuntat ultimamente a causa delle mia golosita’ nei confronti dei pasticcini alla soja reingegnerizzata. Entrai nel mio appartamento, tre stanze di odore di andato a male, di confusione mentale e di pace. Avevo bisogno di quella tranquillita’ per riflettere.
E da quando non avevo piu’ un lavoro fisso, di tempo per rilassarmi ne avevo fin troppo… Barbara Ferthson. Non avevo il minimo indizio su cui partire. I quartieri malfamati della citta’ erano estesi per km quadrati, gli olobar erano centinaia… Era come cercare un sasso in uno stagno… O un’ago nel culo del camello? Come dicevano nei tempi addietro? Ma avevo un’aggancio.
Conoscevo qualcuno che frequentavatutte le disco-virtuali piu’ alla moda, e si sparava dosi di tutte le categorie… Forse anche il Pinzimonium che avevo in tasca. Un tipo del genere avrebbe notato una come Barbara in giro per quei postacci. Mi misi comodo davanti al videofono, con una lattina dall’ettichetta anonima grigia con due ideogrammi cinesi rossi sopra. Non so che fosse, ma costava poco e sapeva di tonno. La linea venne presa al terzo tentaivo.
Fui fortunato, perche’ il mio “aggancio” rispose di persona al videofono.
“Chi rompe?” disse sbrigativo. Poi mi vide, attraverso il suo monitor. Sorrisi.
“Ciao Alex… Quanto tempo…”
Aveva l’eta’ giusta in cui una persona tira le somme del bilancio della propria vita, e le rughe spuntano di conseguenza. Eppure dimostrava 16 anni… Altro che bilancio in positivo!
“Cooks… Non cambi mai.” rispose, eludendo la mia domanda.
“Tento di tenermi in forma… Sai il mio mestiere non perdona…” conclusi con un mezzo sorriso.
“Intendevo il fatto che chiami sempre quando sono… Occupato.” disse le parole voltandosi verso qualcuno che non era nella portata della telecamera del videofono. Chiunque fosse venne zittito da un gesto secco di Alex.
“Che cazzo vuoi?”
“Devi trovarmi una pesona” tentai di fare il viso piu’ neutrale possibile: senza dimostrare il bisogno che avevo delle sue capacita’.
“Quello che vuoi, basta che la smetti di fare la faccia da pesce lesso. Sei nella merda fino al callo, eh?” Anche lui era, come me, affascinato dai modi di dire del passato. Ma spesso ci piantava qualche strafalcione…
“Collo, Alex, si dice collo…”
“Callo, collo… Sempre merda e’…”
“Conosci una certa Barbara Ferthison?”
“No. Perche’?”
“Nulla. Un’amica.”
“Amica? Da quando in qua hai delle amiche?” chiese quasi disgustato.
“Da quando non ho piu’ amici…” riposi sfottendolo.
“Non la conosco… Ma posso presentarti un’imbecille che si spaccia per una sposa, suora, sutra… Na’ roba del genere… Dice che e’ cristiana e che i 10 Comandamenti sono i pilastri della sua vita… Poi la da’ pure agli immigrati svedesi della stazione…”
I miei occhi si spalancarono come quelli dei gatti randagi delle raffinerie di Salso… Alex interpreto’ la mia reazione a modo suo: “Lo sapevo! Lo sapevo che ti avrebbe arrapato una troia del genere!”
“Gia’… Ecco… Fammela conoscere!”
“Occhio, che e’ costosa da mantenere… Va avanti a Pinzimonium…”
Strinsi il pacchetto della droga sintetica datomi da Caesar nella mano.
“Nessun problema… Ne ho abbastanza…”
“Hai del Pinzy? Gli affari vanno benone?”
“Andranno meglio se me la presenterai…” Alex mi diede appuntamento al quartiere piu’ centrale della citta’: Fydanza. La pioggia aveva smesso di sciogliere la sporcizia per terra. Ma la puzza rimaneva. Non tirava un filo di vento, tutto fermo come il fermo-immagine di una rara sequenza di paesaggio in un CD-erotico di Thomas Turbato [(c) RIDERE.ITA].
Il cielo aveva il colore di un televisore sintonizzato su di un canale morto [(c) Grande Maestro], con enormi nubi liquide che si contorcevano in danze senza fine ai ritmi delle termiche urlate fuori dalle varie zone della citta’. Scesi dalla sopraelevata alla fermata di John Pastures Avenue; maledicendo la calca maleodorante che mi aveva accompagnato per i precedenti 20 minuti di viaggio. Arrivai all’Olobar indicatomi da Alex. Un vecchio bar che si rifaceva ai bei tempi…
Serviva solo birra, di quella fatta ancora col luppolo, e qualche pezzo di pane infarciti con slse multicolori. Uno spettacolo per gli occhi e per i chirurghi che ti aprivano lo stomaco per salvarti, dopo che ne avevi mangiati piu’ di tre in una settimana. Entrai ed uno schiaffo di fumo caldo mi investi’ sugli occhi: fumavano.
C’era gente che si divertiva ad aspirare nei polmoni il fumo prodotto dalla lenta combustione di foglie secche di particolari piante. Che stronzata di passatempo. Preferisco di gran lunga farmi di Pinzy. Il locale era saturo come gli intestini di un topo mutante delle fogne. Ma lo vidi quasi subito, seduto sullo sgabello a parlare con una biondona dai capelli lunghi.
“Alex, scusa se disturbo…” Lui si volto’, senza fretta con aria annoiata…
Quando mi riconobbe fece un gesto alla biondona che se ando’ cacciandomi uno sguardo truce.
“Ho disturbato?” dissi sedendomi al posto della bionda, di fronte a lui.
“No, fa ti’… L’era meszora cag provev a gancierla…”
“Ma che cazzo di lingua parli?” Lui sorrise spavaldamente…
“Ho trovato un MemnoCD di dialetto Parmigiano… In questo locale se non lo sai non sei nessuno…”
“Io non lo so… Sembra una cantilena strafottente… Dov’e’ lei?”
“Calma… Quanta fretta… Bel pastrano, sai? Peccato per il buco sulla schiena…”
“Lo rattorpero’, appena mi andra’ in porto un affare…”
“Che genere di affare?” disse Alex, dopo aver sorseggiato una bibita color marrone scuro e con dentro tre cubetti di ghiaccio.
“Di quelli che ti procurano guai, ma che ti allungano la vita…” Lui rispose con un rutto sonoro e prolungato, i clienti piu’ vicini interrupero le loro contrattazioni con le prostitute o il masticamento dei loro sandwich per applaudire Alex della sua prestazione gastro-acustica.
“Ma che cazz?”
“E’ coca cola… O una cosa molto somigliante. La bevevano decine e decine di anni fa’…”
Mi mostro’ il bicchiere dal liquido scuro. “…Stura anche il cervello… Caffeina, acido ortofosforico, cocaina, caramello, acqua e anidride carbonica…”
“E la… bevevano?” dissi allibito, pensando al viscoso sapore delle mie lattine grigie.
“Tutti. Dai bambini agli anziani. Rutti a non finire, prima che la gastrite finisse per mangiarli le pareti dello stomaco…”
“Barbara… Dov’e’?”
“Perche’ ti serve? Si vede lontano un merlo…”
“Miglio…”
“Vabbe’… Si vede un totale che DEVI trovarla. Posso aiutarti, ma se mi dici tutto!”
Riflettei un’attimo, poi presi la decisione: “E’… Era la ragazza di Caesar Wolvves…”
Alex, che stava di nuovo bevendo la Coca, nel sentire il nome di Caesar spruzzo’ fuori dalla bocca tutto. I clienti applaudirono di nuovo. Alex li zitti’ alzando la mano di scatto… Poi ripreso il respiro normale, domando’: “Chiiii?”
“Caesar…”
“Tu hai PARLATO con Wolvves?”
“Sette ore fa.”
“ma chi, cosa, che… Cioe’ e’ incazzato?”
“Ha ammazzato uno dei suoi davanti a me. Vuole indietro Barbara.”
Dalla faccia che fece capii che Alex non aveva perso tempo con Barbara.
“Devo andare a dire a Caesar dov’e’ Barbara, oppure che TU l’hai cornificato?” dissi in modo tagliente.
“No… Cioe’… Io ero il centotrentottesimo della serata… Poi e’ andata…”
Mi alzai di scatto e lo presi per il bavero: “Dove e’ andata? Dove?”
“Non lo so, Cooks! Che io possa essere spannato se lo so!”
“”Dannato”! Si di ce “dannato”… E invece si che lo sai!”
Presi il bicchiere con le due dita di Cola rimaste e ne misi in bocca un po’… L’assalto delle bollicine sulla mia lingua mi fece lacrimare gli occhi. Poi sputai un bel getto di Coca sull’occhio destro di Alex. Alex lancio’ un urlo agonizzante che gelo’ buona parte delle gente nel salone.
“Dov’e’? Dov’e’?” gli urlai per tenerlo sotto pressione. Ma per tuta risposta lui cadde dallo sgabello rotolandosi sul pavimento, continuando ad urlare come uno che si era fatto di Dancer [*].
Mi chinai per ascoltare meglio le parole che uscivano tremanti dalla sua bocca quando una mano mi prese per la spalla. Enorme, forte. Stramaledettamente sicura. Come fossi un burattino mi rigiro’ e vidi la faccia di un lavoratore mutato. Era uno di quei esperimenti genetici falliti di 20 anni prima. Umani modificati per i mestieri piu’ faticosi, ovveri caricature di esseri umani alte sui 2 metri, pesanti e con muscoli sulle braccia che sembravano tentacoli di piovra avviluppati sotto la pelle.
Il Mutato parlo’: “Tu hai rotto… Lascia stare Alex e smetti di disturbare la clientela…”
parlava piano, ma non perche’ era risolutamente calmo, ma perche’, si diceva, il cervello dei mutati era artificialmente stato rallentato sui processi logici. Per ovviari a questo problema i mutati si facevano quattro volte la dose sopportabile da un semplice umano di Pinzy, in modo che potessero ragionare a velocita’ doppia.
In compenso, se i processi erano piu’ veloci, era l’ispirazione quella che mancava. Il piu’ delle volte, per risolvere una discussione, invece che aspettare 8 secondi prima di maciullare una persona, imbottiti di Pinzy ce ne impiegavano 3 scarsi.
Il Mutato mi guardo’ attraverso datati occhiali leggermente dorati a montatura rotondeggiante. Aveva i capelli all’indietro e riccioli, che gli cadevano sulle spalle. Non aveva le pupille dilatate asimmetricamente, come i consumatori di Pinzy. Avevo ancora 5 secondi prima che “decidesse” di rompermi la testa contro lo spigolo del bancone. Dovevo prendere tempo.
“Chi e’ tua madre?” Ho letto da qualche parte che questa domanda funziona sempre con gli essere “artificiali”.
“Chiedilo alla tartaruga rovesciata che trovo in mezzo al deserto…” disse ghignando lanciandomi contro il muro.
Il primo Mutato letterato che incontravo. Merda! Mi rialzai sentendo la scapola destra che era andata fuori posto. Infilai una mano sotto il pastrano per tirare fuori la Subaru-Colt. Il mutato si avvicino’ urlando qualcosa sul brodo che poteva produrre il mio midollo osseo.
Estrassi la pistola e, senza nemmeno mirare, aprii tre buchi grossi come un pugno nella parete dietro di lui. Senza colpirlo. L’avevo detto: non avevo mirato… Il Mutato spalanco’ gli occhi e si guardo’ dietro per vedere i buchi nel muro. Si avvicino’ ad essi e incomincio a toccarne il bordo slabbrato con il dito. Dopo qualche secondo di osservazione ai buchi carico’ il braccio e sfondo’ con un pugno il muro. Si volto’ verso di me con un sorriso abbastanza idiota:
“Visto? Li so’ fare piu’ grossi io…”
Gli altri tre buchi che feci nella parete furuno sozzi del sangue del mutato. I clienti erano fuggiti per meta’. I pochi rimasti si erano comodamente seduti ai tavoli sorseggiandosi un succo d’alga e dei sandwich. Alex, intanto, era di nuovo in piedi, con un fazzoletto sull’occhio, che mi guardava mentre una ragazza lo consolava sussurandogli qualcosa nella bocca. Tolse il fazzoletto. Il suo occhio destro aveva uno sguardo sinistro.
“Dov’e’ e’ lei?” dissi, tenedo ben salda la Subaru-Colt.
“Non lo so… Vattene…” rispose a mezza voce.
“Dimmelo…” alzai la canna verso il suo viso, la ragazza spari’ salutandolo distrattamente.
“Lei…”
“C’e’ di mezzo Wolvves…”

“Lei e’…” la bocca gli tremava di rabbia.
“DOVE?” urlai mentre la sua fronte era tagliata in due dalla tacca di mira della mia pistola.
“DA ME!” disse un’altra voce.
Tutte i presenti si voltarono verso il nuovo interlocutore. Basso, vestito di pelle nera, abbronzato con una correzzione gentica, e con una bandana mimetica in testa. Capelli lunghi e neri, della Lorraine. Max Crossbowmaker. Il piu’ famoso contrabbandiere cubano di software erotico VR della regione.
“Hasta la Victoria, siempre…” disse alzando il braccio destro teso.
Faceva sempre un po’ di confusione sulla politica del passato, come tutti del resto.
“Posa un po’ quel cannone, gringo, si estiamo qui per discutere, bere, e divertirci. non per matar los hombres…”
mentre diceva queste parola allargo’ le braccia guardandosi intorno.
“Tu sai… Dove..?” Dissi
“Te siembro uno da non priendere sul serio?” disse.
Rimisi la Subaru-Colt nella fondina ascellare, squadrando il sorriso beota di Max. Questi si avvio’ al bancone canticchiando qualcosa in spagnolo, penso; quindi si adagio’ con un gomito su di esso ordinando al barista “qualcosa di forte”.
Alex era aveva il respiro ormai rilassato, ma le occhiate che mi lanciava non le avrei scordate per molto tempo.
“Dov’e’ Barbara?” ordinai a Max.
“Perche’ te importa tanto della muchacha? Esta bien. In bueno mani… Ole'”
“Devo ridarla indietro al suo uomo…”
Max mi guardo’ come se fossi l’ultimo minorato mentale in gara allo spettacolo televisivo “Einstein non si nasce tutti”: occhi spalancati e risata soffocata dietro un ghigno di denti rifatti in lega amagnetica.
“Dal suo che?”
“Dal suo uomo. Ragazzo. Valico…”
“…Manico…” mi corresse a mezza voce Alex.
Lo fissai un’istante, serio. “Lei appartiene a lui…”
Max si piego’ in due per l’improvvisa risata grassa che esplose dalla sua bocca. I molari erano d’oro.
“Seeeee… E chi sarebbe lo hombre fesso?”
Sorrisi sicuro, Alex indietreeggio’ ancora. “Caesar Wolvves”
Max interuppe il sorriso. “Quelo de SAT? De la droga sinteticas?”
“Anche. Ma ora e’ quello incazzato per la sua donna… Persa… La devo riportare a lui”
“Tu hombre…” e mi squadro’ da capo a piedi, con un movimento unico e rapido del collo. “… Te lavori per Caesar?”
“Si.”
“Te posso giurare che io non l’ho nemmeno toccato con los dita… Esta tutto regolar…”
“Io ti rimando alla tua Cuba a calci nel culo, se non mi dici, subito, dove cazzo trovo quella… ragazza.” Max mise su la faccia da duro.
“La mia Cuba esta molto lontana… Te potresti rompere los piedi a forsa de calziar… Hombre…”
“La Danimarca non e’ poi cosi’ lontana. Si arriva al confine ed un ultimo calcio ed e’ fatta…”
Mi guardo’ confuso come se avessi detto una cazzata. Era tardi. Diedi una ginocchiata all’inguine di Max, tanto per fargli capire che avevo fretta.
“Maldito piezzo de mierda…” bisbiglio’ dalle labbra.”Me hai rotto los catetere!”
Guardai inorridito il mio ginocchio zuppo di urina maleodorante. Max era famoso per aver partecipato, in gioventu’, a gare di TrattieniLaPiscia. Queste competizioni avevano rovinato definitivamente la sua vescica provata dai innumerevoli litri di birra del Kilimangiaro, che e’ in Africa.
“Los muchacha se trova da un mio amigo. L’unico che sa come teniere a freno la sua exsagerata volia de escobar…”
Alzai un sopracciglio. Perche’ tenerla calma? Max sembro’ avermi letto negli occhi.
“Se da’ il caso che sia stata notata da un mio cliente abituale, e che costui se sia invaghito de lei…” stava continuando a rimmetersi a posto il catetere artigianale.
“…Questo tizio me paghera’ muy soldi se gliela do’ abastanza intoccata…”
“Mi spiace per il tuo amico, ma Wolvves la vuole… Intoccata o non…”
Mi diede il nuovo recapito. Una zona della citta’ abbastanza tranquilla, quella dove ci sta la gente che si puo’ permettere un depuratore d’aria in casa oppure un orologio a lancette.
Con le lancette che si muovono, e qualcuno e’ pure in grado di dirti l’ora. La zona era sviluppata in sali e scendi infiniti, una volta erano colline queste. C’era pure qualche albero senza spore.
La pioggia rinizio’ con il suo piscio battente. Arrivai davanti alla porta della sua unita’ abitativa. David Xorlandi. Cercai il suo nome sul pannello luminoso degli occupanti. 90 posti liberi, solo il suo illuminato.
“PREGO IDENTIFICARSI!” gracchio’ una voce sintetica di pessima qualita’.
“Frank Cooks.” dissi impziente, gurdandomi annoiato intorno.
Dopo qualche istante: “E ALLORA? CHE CAZZO ME NE FREGA? CHE CAZZO CI FAI QUI? HO GIA’ LA LINEA CON LA POLIZIA…”
Il chip del citofono doveva essere un datato Paranoya Mk02, non sapevo che ce ne fossero ancora in giro… C’era un solo sistema per trattare con loro.
“Sono un povero e triste essere umano in cerca di un’altro mio triste simile, tanto per darci conforto l’un l’altro, in questa misera esistenza.”
“CHI E’ LO SFORTUNATO SIMILE, O POVERO E BISTRATTATO PEZZO DI CARNE?” rispose la voce con un tono di compassione che mi fece venire i brividi.
“Xorigin…”
“XORIGIN DAVID… MA ALLORA, CARNE, SEI PROPRIO SFIGATO… TOH, VA DA LUI… IN VERITA’, IN VERITA’ TI DICO CHE QUESTA E’ UNA PROVA A CUI DEVI ESSERE SOTTOPOSTO PER ESSERE REDENTO DEI TUOI INNUMEREVOLI PECCATI…”
La serratura si apri’ e io scattai avanti lasciando il citofono in un delirante discorso paranoico sulla religione calvinista. Le scale erano male illuminate da un distante soffitto in vetro-cemento, antico. Arrivai alla sua porta, con un piccolo cartello scrittofaticosamente a mano:
“COMPLIMENTI! O SIETE DEGLI ATTORI NATI O SIETE DAVVERO SFIGATI! IL MIO CITOFONO NON E’ FACILE DA FOTTERE!”.
La porta era gia’ aperta. Uno strano odore mi colpi’. Come d’incenso, penso. Un suono. Un suono continuo che riempiva tutto il volume dell’appartamento praticamente non arredato. OOOOMMMMMMMM. Andai dritto verso l’unica stanza debolmente illuminate e trovai Xorlandi in piena meditazione REM, ed un stereo acceso con un CD di recitazione ZEN che andava. Capii che Xorlandi faceva parte della setta dei Narcoliturgici.
Ovvero pregavano almeno 15 ore al giorno in posizione di preghiera entrando in fase di sonno REM, mentre qualcuno per loro, anche un dispositivo, recitava OOMMMM. Non si accorse minimamente di me. Continuava il sonno-preghiera in piena fase REM. Era seduto con le gambe incrociate e le mani lungo le ginocchia, con la testa rasata che ogni tanto cadeva in avanti, tra una russata e l’altra. I tratti del viso erano nascosti dalla folta barba ispida e nera ed un paio di occhiali da vista tondeggianti completavano il ritratto di un viso che avrebbe potuto essere anche bello, chi lo sa’… Mentre il narcoliturgico continuava la sua meditazione mistica, cercai per il resto dell’appartamento… Nulla. Solo un modesto e essenziale arredamento. Nulla di piu’. Avrei dovuto faticare pure con questo, per sapere dove era finita Barbara…
“Sveglia… Sveglia!” gli scrollai una spalla, e come unica reazione cadde disteso su di un fianco con la bocca aperta ed una bolla di muco al naso che si contraveva ed espandeva al ritmo del suo respiro: tranquillo e profondo.
Spensi il CD con un calcio, consapevole che questa brusca interruzzione avrebbe potuto far saltare la concentrazione a cui era sottoposto Xorlandi, e magari pure traumatizzarlo. I Day-Hospital erano pieni di monaci Narcoliturgici ricoverati dopo un blackout in casa loro. Xorlandi interruppe per un secondo il regolare russare, dopodiche’ si giro’ dall’altra parte russando ancora piu’ forte… Capii perche’ Barbara non era li’… Improvvisamente Xorlandi apri’ gli occhi azzurri, si alzo’maldestramente tra mille rumori di articolazioni stance ed irrigidite dalle ore di meditazione e usci’ dalla stanza, sfiorandomi senza notarmi minimamente. Lo seguii. Entro’ con passo insospettabilmente svelto dentro una stanza. Rimasi fuori, con la mano sulla Subaru-Colt. Xorlandi urino’ quindi tiro’ l’acqua. Usci’ dal cesso con uno sguardo rilasato, ma poco riposato, una delle tante contraddizzioni dei Narcoliturgici.
“Chi sei?” mi disse con voce roca. Non aveva senso perdere tempo pure con lui. Ma forse cambiando approccio…
“Aveva qua una certa Barbara Ferthison?”
“Si”
“Dov’e’?”
“Non lo so… Mi e’ stata portata qua l’altro ieri, poi ho dovuto meditare, quindi, non l’ho piu’ vista…” disse come se fosse stata la cosa piu’ naturale del mondo. E forse la era.
“Non ha idea di dove puo’ essere andata?”
“Forse… MI aveva chiesto, prima di scomparire, dove poteva trovare della droga sintetica…”
“E lei glielo ha detto?”
“Certo! Che gli davo, la mia? Anzi gli ho dato qualche credito per prenderne un paio di dosi pure per me…”
rimasi scioccato. I Narcoliturgici si drogavano…
“Quindi tornera’?”
“Cazzo ne so’?”
A quel punto si senti sulle scale un rumore di passi. Insicuri e leggeri. Feci un gesto a Xorlandi, quindi impugnai a due mani la mia 15mm. Chi poteva essere? Poi sentii la voce…
“Saaannnttooonneeee….? Ci sei? Fai ancora ronf ronf? Ti ho preso la meeeerdda….”
Chiunque fosse era completamente fuso. La voce era… Spuntai fuori dall’angolo e la vidi. Wolvves aveva tutte le ragioni di questa citta’ per incazzarsi… Barbara mi guardo’ con lo stesso sguardo con cui si osserva un rientro non in programma nell’atmosfera di una stazione orbitale militare piena di bombe nucleari sulla propria citta’. “Tu non sei il santone!?” disse con voce delusa.
Le sue iridi erano dilatate inverosimilmente. Sembrava un personaggio di quei fumetti Australiani che andavano nel secolo scorso… Un Ranga… Si’ un Ranga penso… Era piuttosto semplice nel vestire: una maglietta in neoprene nero e braghette dello stesso materiale. Qualche incomprensibile tatuaggio rovinava la sua pelle ingegnerizzata.
“No. Sono venuto per…”
Poi mi vennero in mente gli ordini di Wolvves… Trovarla e ucciderla… Per salvare il suo onore. Ma come si faceva a sparare ad una ragazza priva di una sua memoria?
“Per? Diviso, meno… Piu’…”
Mi guardo’ allargando il sorriso in modo impossibile per un umano… Wolvves era pure andato accanto ai muscoli facciali… E pure ai denti: sembravano perle bianche ridisegnate da un calcolatore madico. MI si avvicino’ con la grazia di una lucertola, sbattendomi quegli enormi occhi neri e dilatati di fronte agli occhi.
“Be’? Non ridi?” disse acida. La memoria della Panasonic, in avaria, era proprio un gran casino…
“Per… Per cosa?” effettivamente avere quei due specchi neri di fronte, faceva un po’ impressione…
“Per la battuta, idiota…” e mi scanso’ come l’ultimo dei venditori ambulanti di case che giravano per il centro.
La presi per un braccio, nel tentativo di immobilizzarla. Avevo deciso che non l’avrei ammazzata, ma comunque l’avrei riportata da Wolvves…
Lei si volto’ con una caricatura di viso rabbioso. Il primo colpo, dato col dorso della mano, fece volare via la Subaru-Colt, il secondo mi colpi’ allo stomaco, il terzo alla nuca. In meno di un secondo. Quello che aveva in corpo non era nemmeno Dancer… Era piu’ potente… Mi ritrovai a terra con il mondo intorno a me che aveva deciso di fare i cazzi suoi. Sentii la voce della ragazza. Stramaledettamente risoluta, e seria. Forse stava parlando con Xorlandi.
“CHi e’ questo tizio?”
“Non lo so, mia signora” rispose servilmente Xorlandi. Se ne avessi avuto la forza avrei spalancato gli occhi.
” Forse l’ha mandato Caesar per farmi fuori… Mi ha gia’ trovato. E’ uno in gamba… Questo vuol dire che da questo istante dobbiamo accelerare i tempi…”
“Sicuramente, signora”
“Ha un bel pastrano, peccato il buco… Controlla chi e’… Poi fammi sapere…”
“Certo, signora”
“Hai contattato gli altri della squadra?”
“Manca solo Andeij Robusky, signora” Andeij Robusky! Era il piu’ spietato terrorista della regione. Era molto tempo che era uscita dalla scena internazionale.
“Trovalo. E’ essenziale per la riuscita dell’operazione…”
Operazione? Stavo pensando a questa parola quando un calcio spense tutte le luci di un mondo sempre piu’ incomprensibile al mio cervello. La luce al neon fece stringere velocemente le mie pupille affaticate. Ero dentro una stanza. Vuota e malamente intonacata. Ero in un angolo maleodorante, senza pasrano, senza pistola… Senza erbhozol e senza Pinzy. Ero solo. La testa mi duoleva ancora per il calcio sferratomi da Barbara. Barbara, chissa’ che cosa era diventata ora; le memorie Panasonic non hanno una buona reputazione, quando si sputtanano. Piu’ che altro uccidono, ma piu’ raramente rendono gli individui ultra-schizofrenici. E stramaledettamente rapidi nel pensare. La porta si apri’ e lei entro’ calma. Era piu’ alta di quanto me la ricordassi. Senza dire una parola mi lancio’ il pacchetto di erbhozol. Io lo presi al volo.
“Non spaccerai piu’… Ma il drogato ora sei te… Erbhozol…”
Non feci nemmeno caso alle sue parola, e scartai un confetto nero. Chiusi gli occhi per assaporare il suo aroma.
“Ti manda Caesar, vero?” chiese lei quasi cortesemente.
“Si…” perche’ mentirle?
“Ti aveva detto di uccidermi?”
“Si…”
“Allora tu ucciderai Sylva per me… Tanto per aizzare la comunita’ criminale della citta’ contro di lui.”
Rimasi sconvolto da queste parole. Uccidere un capo del calibro di Wolvves?
“Ma perche’ dovrei farlo?”
“perche’ l’Erbhozol che hai appena inghiottito e’ stata siringata di un particolare enzima epatico. O fai quello che ti dico o il tuo fegato scomparira’ a causa di un batterio necrofago… Entro 3 giorni… E solo io ho l’antidoto…” Sorrise. Proprio dei bei denti.
“Cosa c’entra Sylva con Wolvves?”
Lei sogghigno’. “Voglio vedere MORTI i due capi della citta’. Tu uccidi Sylva, PeelCats uccide Wolvves… Io sto’ a guardare… Semplice, no?”
“Cristallino…” dissi…
“Cazzo c’entra il cristallino dell’occhio?” disse lei di getto scrutandosi gli occhi con uno scanner elettro-ottico. Le memorie Panasonic vanno accanto all’ego della persona, me lo ero scordato.
“Ti ho sentito nominare Robusky, prima…”
“Ah, si… Ti affianchera’…” disse lei mentre sollevava mostrousamente la palpebra superiore dell’occhio per scrutarlo meglio.
“Guarda che il tuo occhio non ha un cazzo…”
“Questo lo so’, idiota!” ora aveva due dita nella cornea destra.
“No, non ci siamo intesi. Non hai niente nel tuo occhio…”
“Come?” si volto’ di scatto verso di me. Wolvves aveva dato a quella ragazza pure un paio di occhi della Zeiss. Riavvito’ il bulbo nella sua sede e mi fisso’ concentrata. Poi fece partire un colpo a mano aperta sulla fronte.
“Cazzo, ora becco tutti i colori… Stavi dicendo?”
“Robusky mi affianchera’…”
“Ah, si’. Sembri in gamba, ma superare le guardie di Sylva e’ cosa dura. Andrej e’ esperto di esplosivi, armi bianche e tecniche anti-uomo a mani nude…”
“Un vero killer…”
“Mica tanto. Esperto nel senso che molte bombe gli sono scoppiate accanto, a preso molte coltellate ed e’ stato pestato di botte in varie occasioni.”
“Ah.” Lei passo un dito sul polso dell’altra mano per far apparire le cifre di un orologio a termoluminescenza dermica. Annui’ alle cifre.
“Tra due ore arrivera’ Robusky… Tienti pronto.”
“E’ un sacco di tempo che non mangio.” Lei se ne stava andando quando si giro’.
“Vedro’ di farti arrivare della roba. Ti piacciono i grassburger?”
“Si, ma senza salsa…” La salsa dei sandwich di macinato d’erba era una tortura per il mio stomaco.
“Barbara?” lei si fermo’ sulla porta. Belle braghette.
“Cosa ti e’ rimasto di… Naturale?”
“L’odio” disse chiudendo la porta dietro di se’.
Ora era tutto chiaro ai miei occhi. La porta si riapri’ e la sua testa sbuco’, con gli occhi dilatati alla massima apertura.
“E la passera!” E richiuse la porta di colpo. Ora era tutto meno chiaro…
Un’auto mi deposito’ in un lercio vicolo della cittadina. Aveva guidato il narcoliturgico: non sembrava molto pratico sia del mezzo che della strada. In un paio di occasioni aveva portato via gli spigoli di qualche edificio ed era entrato in fase REM di preghiera in tre incroci.
Barbara non perse la calma in nessuna di queste occasioni, si limito’ semplicemente a rifilargli dei sonori ceffoni a mano aperta sulla nuca rasata. Dopo qualche minuto apparva una bassa figura dal fondo del vicolo: un’ombra danzante avvolta in un impermeabile nero. Piu’ si avvicinava, letteralmente con passo ballonzolante, carpii i vari lineamenti del viso: Era rasato e portava un pizzetto rossiccio sul mento.
L’orecchio destro era un ammasso di orecchini di varie dimensioni e colori. Barbara avanzo’ verso di lui con passi lenti.
“Andrej… Quanto tempo..?”
“Circa sei mesi… Dall’ultimo bus-bomb che ho cercato di dissinescare… Ma sei Barbara?”
“Certo… Barabara Voxon…” Trasalii, Wolvves non mi aveva detto Feythman?
“Bell’innesto che ti hanno fatto” disse con voce ridanciana toccandosi la nuca.
“E’ una memoria Panasonic, mi ha fuso il cervello un paio di volte, ma il virus-mnemonico ha attechito lo stesso. Questo corpo e’ decisamente migliore dell’altro”
disse Barbara mentre fece gonfiare i bicipiti. Io la guardai con espressione stupita.
“Cooks, questa storia e’ molto piu’ complicata di quanto tu possa immaginare. Fai quello che ti diremo di fare, e non creperai.”
“Chi sei?” stavo incominciando a capire qulcosa
“Non sei Barbara Feythman di Wolvves…”
“Il corpo si. Lo era, almeno. Wolvves aveva impiantato in lei questa memoria Panasonic per farne una ragazza casta e remissiva. Poi, dopo un piccolo incasimento software della rete neurale, Barbara aveva cambiato personalita’. In una delle sue innumerevoli scappatelle si e’ collegata ad un database criminale, dove gironzolavo io…” si punto’ un dito alla fronte.
“Sono Barbara Voxon, il mio corpo e’ stato giustiziato 5 anni fa, la mia mente e’ stata trasformata in un virus-mnemonico… E dei miei collaboratori…”
Andrej tossichio’ sorridendo
“… Mi hanno immessa in Rete. MI sono impiantata 3 settimane fa’ dentro Barbara.”
“Che fine ha fatto cio’ che Barbara era?” dissi calmo. Ero disgustato dalla faccenda.
“I suoi ricordi sono parte di me. Attingo dalle sue informzioni per agire, ma la sua volonta’ e’ stata… Cancellata.”
“Non c’e’ possibilita’ di recupero?”
“A che scopo?”

“Avevo una missione da compiere…”
“Per Wolvves l’hai gia’ compiuta, se dovevi ucciderla…” rispose con un mezzo sorriso artificiale.
“Non e’ proprio la stessa cosa…”
“Quando trovero’ un’altro corpo dotato di una memoria neurale come questo, in cui trasferirmi, ti cedero’ volentieri questo da sforacchiare…” rispose con aria di sufficenza.
“Andrej… Quando possiamo infiltrarci nella base di Sylva?”
“Dunque… Lunedi’ non posso… Mercoledi’… Ho una consegna di droga sintetca… Giovedi’ devo provare quella che mi danno in cambio, e questo mi tiene intripp… Impeganto fino a venerdi’ sera. Sabato devo rimettere a posto l’unita’ abitativa, Domenica mi preparo per un droga-sauro-party…”
“Martedi?” disse seccata Barbara inarcando un sopracciglio.
“…Hmmmm… SI! Martedi’ si! E’ il mio giorno libero…” ripose con tono squillante.
“Non facevi prima a dirlo subito?” sibilo’ lei.
Andrej aggrotto’ le ciglia perdendosi in un intricatissimo conteggio con le dita delle mani. “Oggi e’ lunedi’, Barbara… Sera…”
m’intrufolai nella conversazione. “Allora tra poche ore entreremo in azione…” ribatte’ lei…

Age

Age

Questo pezzo l’ho scritto e registrato nel 1994, è un pezzo di musica elettronica in stile Bronski Beat che in quel periodo mi piacevano molto; penso che abbiano lasciato il segno per quanto riguarda la musica elettronica insieme ai Depeche Mode. Riascoltandola dopo anni mi sono accorto di quanto possa essere un brano scritto dai Bronski, non è per vantarmi, piu’ che altro sembra quasi un plagio ma non lo è.

Scarica il brano in mp3 Age by Nag